Il tema delle cellule staminali è di particolare interesse e attualità in medicina e ovviamente anche in oculistica riveste particolare attenzione da parte dei media e dei pazienti.
Il loro utilizzo permette il trattamento già al giorno d’oggi di alcune patologie e in futuro verosimilmente acquisiranno sempre maggiore importanza. Sempre più spesso in campo oculistico sulle cellule staminali vengono poste speranze da parte dei pazienti pensando di poterle impiegare sostanzialmente per curare tutti i problemi dell’occhio. Le cellule staminali al giorno d’oggi si possono utilizzare in casi specifici che andremo ad analizzare.
Come introduzione riporto alcune parti di un articolo molto interessante pubblicato dalla SOI, Socità Oftalmologica Italiana. La versione integrale è disponibile qui
“Le cellule staminali sono cellule non specializzate in grado di dividersi dando origine contemporaneamente ad una cellula staminale (uguale alla cellula madre) ed una cellula precursore di una progenie cellulare che alla fine darà a sua volta origine a cellule terminalmente differenziate (mature). [R. Dulbecco].
Le prime cellule staminali scoperte furono quelle emopoietiche, le quali, esprimono sulla loro superficie un particolare marker (CD34), sono in grado di ricostruire completamente e permanentemente tutte le cellule del sangue e del sistema immunitario (es. dopo terapie antitumorali). Le cellule staminali vengono suddivise in:
Totipotenti: quando possono dare origine a qualsiasi tipo di cellula. Sono cellule embrionali, cioè vengono prelevate da embrioni al 5° giorno di vita.
Pluripotenti: quando possono dare origine solo ad alcuni tipi di cellule. Possono essere: Germinali embrionarie, quando vengono prelevate da embrioni di 6 settimane, cordonali o placentari, quando vengono prelevate dalla placenta e dal cordone ombelicale, adulte, quando vengono prelevate dal midollo osseo oppure dal sangue (leucoaferesi).
Entrambi i due tipi di cellule, perché si sviluppino, necessitano dell’ azione di fattori di crescita diversi a seconda del tessuto. (esT.N.F. della Levi Montalcini)”. [...]
Isolamento ed espansione delle cellule staminali: Tecnicamente e, “idealmente”, tutti i tessuti umani possono essere rigenerati in laboratorio e poi reimpiantati sul vivente attraverso due metodiche: la terapia genica e la terapia cellulare.
La terapia genica prevede la correzione di un difetto genetico attraverso l’inserzione del gene corretto nel genoma del paziente in cui mancava o in cui era alterato. Attraverso l’utilizzo di vettori virali viene inserita la copia del gene corretto nel nucleo delle cellule staminali del tessuto malato, che sostituirà quello difettoso portando alla produzione della proteina mancante / alterata con risoluzione della patologia. Tutto ciò risulta in via di studio. La terapia cellulare, invece, prevede l’isolamento di cellule staminali, di un determinato tessuto, la loro cultura con successiva amplificazione allo scopo di ottenere un tessuto sano da impiantare. Le tecniche a disposizione sono diverse e si differenziano, tra l’altro, per i tessuti di mantenimento, detti nicchie, su cui far crescere le cellule staminali isolate. La nicchia è importantissima perché ha il compito di fornire il microambiente ideale, ricco di sostanze e fattori di crescita, in cui sono presenti i segnali di crescita per le cellule. Appare chiaro che una nicchia non ideale fornirà segnali non ideali che porteranno alla mancata crescita di cellule staminali e conseguentemente di tessuto sano.
La tecnica più usata prevede il prelievo limbare di una porzione di tessuto di 2 x 2 mm2. Tale tessuto viene depositato su spugne di collagene per pochi giorni, successivamente viene trasferito in terreni liquidi ricchi di sali, vitamine e fattori di crescita specifici per i cheratociti. In questa fase avviene la crescita dei precursori epiteliali indifferenziati. Queste cellule, isolate dalla matrice liquida mediante digestione enzimatica, vengono poste in coltura con cellule feeder post mitotiche (NIH 3T3) le quali portano alla formazione di cloni di cellule con caratteristiche fenotipiche simili alle cellule epiteliali basali (CK19 positive e CK3 negative), con alta capacità replicativa (Ki 67 positivi).
Il clone ottenuto viene immerso in una matrice di collagene, contenete fibroblasti corneali stromali umani come cellule feeder (HPC.33) e ciò darà origine a cellule basali non cheratinizzate capaci di differenziarsi in CK19 e CK3 positive e Ki 67 positive.
Lo strato di cellule basali ottenuto potrà essere impiantato sulla superficie del ricevente, adeguatamente preparata, tale da permettere alle cellule staminali di aderirvi, riprodursi e differenziarsi e creare così un nuovo epitelio. Appare chiaro, quindi, che il compito delle nuove cellule staminali è quello di attecchire e riprodursi, nonchè risvegliare le cellule già presenti nel tessuto ricevente. La somma di queste azioni risulta importante per il successo di un trapianto di limbus. Si parlerà di autotrapianto, quando il prelievo del limbus avviene dall’occhio contro laterale, mentre si parlerà di allotrapianto quando il limbus proviene da altro paziente”.
Grazie a questa introduzione si può capire più facilmente l’utilizzo delle cellule staminali in oftalmologia. I casi che si possono trattare sono quelli secondari a gravi ustioni termiche o chimiche mono o bilaterali. Quando ustioni termiche o chimiche danneggiano irreversibilmente questa riserva di staminali nel limbus, la superficie corneale smette di rigenerarsi, e la congiuntiva a poco a poco comincia a ricoprire la cornea con una patina bianca che rende impossibile la visione e provoca dolore e infiammazione cronici. Se almeno in uno dei due occhi del paziente è rimasto un residuo di limbus non danneggiato, si può ricostruire in laboratorio l’epitelio che ricopre la superficie corneale. Si preleva con una biopsia una piccola parte del limbus dell’occhio sano per ricostruire tutta la popolazione di cellule e trapiantarle nell’occhio malato.
Appare quindi evidente che attualmente in oftalmologia si possono trattare con cellule staminali solo casi selezionatissimi e legati a parte della patologia corneale, penso però che sia solo l’inizio e in futuro si potranno avere sviluppi sia in oftalmologia sia nelle altre branche della medicina.